L’Insonne - Il romanzo
Nel 2008, L’Insonne diventa anche un romanzo, scritto da Giuseppe Di Bernardo ed edito da Del Bucchia Editore, col titolo La lunga notte de L’Insonne. Il libro racconta di una notte a Radio Strega attraverso quindici racconti brevi legati insieme da una trama principale, una storia che ruota intorno alla protagonista. Il volume di 256 pagine è impreziosito dalle illustrazioni dei disegnatori della serie a fumetti e dalla prefazione di Carlo Lucarelli e Mauro Smocovich.
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La lunga notte de L’Insonne
diGiuseppe Di Bernardo
Io faccio splendere
la luce primitiva sulla strada
delle tenebre con l’aiuto della
grande forza magica
della mia Parola
Papiro di Torino
I due uomini salirono sulla Volvo nera: quello grosso alla guida, l’altro, il capo, che teneva una rosa rossa in mano, al posto del passeggero. Un fiore per un appuntamento con la morte. Quest’ultimo si chiamava Calogero Salma, ma - visto il significato nefasto del cognome - era conosciuto da tutti come Tango. Aveva scelto questo pseudonimo, perché si vantava di essere un ballerino provetto. Non solo, però. Si diceva infatti che quelli, che volevano rubargli la scena nella milonga della malavita milanese, venissero prima costretti a ballare, poi omaggiati con qualche grammo di piombo. Infine Tango regalava loro una rosa. Tra i denti.
Aveva intorno ai cinquant’anni, Tango. Basso ed esile, con pochi capelli, bianchi come il folto pizzetto che sfoggiava orgoglioso. Occhi chiari come il cielo di Milano in novembre, vestiva un completo nero con una polo rosa sotto la giacca. Il buon gusto non era tra le prime dieci virtù della gente di malaffare.
L’altro era un vero gigante. Un gigante triste. Lo chiamavano il Bestia ed era il braccio destro di Tango, quello che faceva i lavori sporchi per lui. Per questo aveva un sacco da fare. Era un omone obbediente che non avrebbe mai osato contraddire il capo. Silenzioso. Nessuna parola di troppo, anche perché il Bestia era muto, virtù indispensabile per lavorare con Tango.
Da ragazzino, a Mostar, in Bosnia Herzegovina, il Bestia aveva salvato con le sue urla un gruppo di ribelli kossovari da un agguato della milizia Serba. Sfortunatamente fu l’unico ad essere catturato. Il capo della pattuglia serba, però, si fece prendere da una inconsueta debolezza. Decise di non ucciderlo, ma gli tagliò la lingua con il coltellaccio in dotazione. La prossima volta non avrebbe dato l’allarme.
Il Bestia, come tanti del suo paese, era scappato in Italia e si era infilato in un brutto giro. L’unico disponibile per un kossovaro muto, che dava anche l’impressione di non brillare di intelligenza.
«Le faccio lo stesso servizietto che i serbi hanno fatto a te» esordí Tango, appena seduto in auto. «Le taglio quella linguetta da vipera... Anzi, forse prima me lo faccio leccare». Tango era nervoso. Il suo scagnozzo se ne era reso conto appena lo aveva visto percorrere a piedi Viale Monza, mentre si puliva accuratamente le mani con un fazzoletto bianco che da lontano gli apparve macchiato di rosso. Tango doveva aver ammazzato qualcuno, quella sera, e se lo aveva fatto con le sue mani, lo sgarro doveva essere stato davvero grosso.
«Porcaputtana! Mi tocca fare tre ore di viaggio per arrivare in quella città di merda, ma mica posso far finta di nulla!» Il Bestia guardò con curiosità il capo. Era abituato a non fare domande, anche perché non poteva, e a Tango non piaceva fornire spiegazioni sui loro lavoretti.
«Che cazzo guardi, Bestia? Vedi di mettere in moto. Prima si parte, prima si torna. Domattina ho un appuntamento a Palazzo Marino. C’è un appalto che non voglio lasciarmi scappare. Roba grossa».
La Citroën Deux Chevaux Charleston rosso fegato e nera inchiodò davanti al portone di Radio Strega. Un parcheggio vietato, che procurava all’indisciplinata parcheggiatrice almeno una dozzina di foglietti rosa al mese che venivano archiviati diligentemente nel cruscotto dell’auto e lì dimenticati per sempre.
Desdemona aveva poco più di vent’anni ed era la speaker di una piccola radio privata. Non molto alta, ma snella e sottile, la ragazza, portava i lunghi capelli neri legati in una coda. La pelle era chiara, lunare, mentre i suoi occhi scuri, profondi, felini, cerchiati dal trucco che aveva il difficile compito di nascondere le occhiaie, erano un pozzo senza scampo per l’incauto che ci finiva dentro. Guardandola ora, in mezzo alla strada, mentre infilava in tutta fretta la chiave nella serratura del portone, sembrava una ragazza come tante: bella ed elegante nei suoi vestiti semplici. Ma Desdemona era diversa. Diversa dalle sue coetanee tutte shopping ed eventi mondani, diversa dalle ragazze più cresciutelle, impegnate a fare carriera o a farsi crescere il pancione, col complicato obbiettivo di trovare un ruolo dignitoso nella società. Sì, Desdemona era diversa e se ne fregava. Studiava medicina con scarsi risultati, perché per lei, prima di ogni altra cosa sulla faccia del pianeta, c’era il suo piccolo mondo. Un universo in cui esisteva solo il microfono, le sue immancabili sigarette e la sua voce notturna: il canto di una sirena, sensuale, profondo e misterioso, pieno di inquietudini e di segreti.
Mentre Desdemona saliva le scale, al terzo piano di quella vecchia palazzina nel centro di Firenze, si stava per replicare uno spettacolo in cartellone da diversi anni. Uno spettacolo che andava in onda per cinque giorni la settimana, da mezzanotte alle tre del mattino.
Piero Conti, il proprietario di Radio Strega passeggiava nervosamente per la sala della regia e aspettava impaziente l’arrivo della dee-jay più talentuosa ma meno disciplinata che avesse mai visto nella sua carriera. Il Boss, così lo chiamavano i suoi dipendenti, era un cinquantenne ex pugile, con una brutta storia alle spalle, che aveva trasformato il suo sogno in una radio ascoltata almeno in metà paese. Non era facile andare avanti per le piccole emittenti, perché i network, finanziati da grosse holding, fagocitavano il grosso della pubblicità e alle piccole radio private non restava che tirare la cinghia. A volte, però, succedeva un miracolo e un personaggio - un giornalista, un comico o uno speaker - riusciva a catalizzare l’attenzione degli ascoltatori. Succedeva di rado ed era paragonabile alla nascita di un trequartista di grande classe o di un uomo politico vero.
Desdemona era stata un piccolo miracolo. Per caso aveva iniziato a fare radio e tutti avevano capito subito che nella sua voce c’era qualcosa di speciale. Quella ragazza affascinava e seduceva con le parole chiunque la incrociasse nell’etere facendo zapping a notte fonda. Gli ascoltatori rimanevano imbrigliati nelle storie che raccontava: storie strane, misteriose e spesso paurose, storie vere o inventate, ma che nascondevano sempre un messaggio tra le righe.
«Ma perché la tua amica non si mette una sveglia?» urlò il Boss, sbattendo violentemente il palmo della mano sull’armadietto dei CD.
«E a che serve una sveglia a chi soffre d’insonnia?» rispose Fabio, il giovane regista della trasmissione, senza scomporsi troppo.
«Ad arrivare puntuale sul posto di lavoro. Lavoro che prima o poi deciderò di toglierle!»
«Boss, non lo farai mai. Lo sappiamo tutti. Desdemona è la speaker piú in gamba di questa vecchia Radio. Perdere lei sarebbe piú grave di perdere la frequenza».
Il telefono della radio si mise a squillare con il suo fastidioso pigolio.
«Radio Strega...» rispose Fabio. «Sì, iniziamo tra un paio di minuti, stiamo risolvendo dei problemi tecnici».
«Continua a difenderla, bell’imbusto. Prima o poi mi capiterà tra le mani una nuova dee-jay, brava e affascinante come la tua amichetta, e quel giorno vi sbatterò fuori tutti e due» bofonchiò il Boss sottovoce, ma non abbastanza da non farsi sentire dalla nuova arrivata.
«Quel giorno è ancora molto lontano...» Desdemona si stava togliendo la giacca di pelle e senza neppure fermarsi s’infilò nella stanza della diretta. «... e quando arriverà ce ne saremo già andati entrambi».
«È arrivata la diva, finalmente!»
«Boss, non pretendo che tu possa capire che esiste un mondo vero fuori dalla radio, ma io non ho neppure venticinque anni e mi piace vivere la vita, non solo raccontarla da questo microfono».
«Desdemona, il microfono è la tua vita!» disse il Boss che conosceva bene quella ragazza.
«Devo dartene atto, ma diciamo che è un rapporto paritario: senza il microfono non posso vivere, ma il microfono, senza la mia voce, emetterebbe solo un inutile rumore bianco».
Fabio che fino a quel momento aveva armeggiato con il mixer, si calzò in tutta fretta le cuffie e senza staccare gli occhi dal monitor richiamò l’attenzione dell’amica: «Dopo la sigla metto un brano e poi parti per la diretta, sorellina!»
«Se io sono la tua sorellina, tu sei un porco incestuoso» rispose lei accendendosi la prima sigaretta della notte.
«Quattro, tre, due, uno... Insonne, sei in onda!»
«Con chi ama la notte, con chi non dorme la notte, con chi vive la notte. Desdemona Metus L’Insonne, su Radio Strega».
Il jingle della trasmissione che l’aveva resa famosa, era l’inizio di ogni sua diretta. Aveva pensato spesso di cambiarlo, ma non trovava parole migliori per descrivere quello che faceva: stare insieme agli amanti della notte, con quelli che come lei non riuscivano a dormire, con tutti quelli che la notte lavorano, si divertono o semplicemente vivono.
Sarebbero state tre ore in cui Desdemona avrebbe raccontato storie, passato la sua musica e ascoltato telefonate in diretta.
Sarebbe stata la notte de L’Insonne, condotta da un’insonne cronica per ascoltatori irrimediabilmente svegli.